Intercettazioni-bomba di Luciano Lo Giudice , raggiunto ieri, insieme ad altre 3 persone, da un’ordinanza di custodia cautelare per gli attentati intimidatori contro il procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro, e contro il procuratore Giuseppe Pignatone.
Il 22 giugno 2010 Lo Giudice incontra i suoi familiari nel carcere di Tolmezzo. “Sono sette mesi che sono dentro. Se vogliono me lo dicano che gli avvocati me li tolgo e poi li raggiungo a modo mio, così esco io e ne entrano 100, 99 delle Questura e anche qualche magistrato pure”.
Quando il fratello Antonino, neo collaboratore di giustizia, era ancora libero – sarà arrestato a ottobre dell’anno scorso – viene intercettata una conversazione tra i due: “incomincia a fare bordello, altrimenti comincio io, da qua. Fai che tremino in qualche maniera, che vogliono, che mi porti al punto che me la canto?”
Il colloquio è nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Catanzaro Assunta Maiore per gli attentati intimidatori. “Il convincimento – scrive il gip – di essere destinatari di una ‘manovra giudiziaria’ volta a colpire soggetti ritenuti vicini ad un certo gruppo di magistrati piuttosto che ad un altro, oltre che l’opportunità di far ricadere sulle altre famiglie di ‘ndrangheta la responsabilita’, avrebbero mosso attentati ed intimidazioni. La frustrazione di vere e proprie ‘aspettative di interessamento’, quantomeno in termini di miglioramento della posizione cautelare, da appartenenti ad organi di polizia e all’ordine giudiziario (che avevano intrattenuto in passato rapporti con Luciano Lo Giudice o con altre persone vicine alla sua famiglia, tra cui Antonino Spanò) sarebbe quindi la causa della reazione dei Lo Giudice”.
In merito alle dichiarazioni del boss pentito dell’omonima cosca, Antonino Lo Giudice, il gip osserva che l’attendibilità sulla genesi, sulla causale e sulla scelta degli obiettivi è tutta da valutare. “Mancano, infatti specifiche indicazioni circa la natura di pregresse ‘vicinanze’ con precisi soggetti istituzionali e, in particolare, magistrati; i motivi per cui i rapporti con almeno due magistrati inducevano i fratelli Lo Giudice a pretendere una riconoscenza così forte da richiedere un intervento in relazione alla vicenda che li aveva ‘inaspettatamente colpiti’. Il tema necessita di essere approfondito quanto alle modalità con cui il presunto rapporto si sarebbe svolto negli anni precedenti l’arresto di Lo Giudice, all’indicazione di tutti i soggetti con cui Lo Giudice si rapportava e all’indicazione di elementi concreti da verificare su occasioni di incontro, contatti telefonici”.
Sempre quel 22 maggio 2010, prima di dire che se parlasse lui finirebbe in carcere pure qualche magistrato, Lo Giudice esprime la volontà di incontrare il procuratore nazionale aggiunto antimafia, Alberto Cisterna.
Cisterna – secondo l’ordinanza eseguita ieri – era indicato da Lo Giudice come “l’avvocato di Roma” mentre il sostituto procuratore generale di Reggio Vincenzo Mollace viene indicato come zio Ciccio. “Luciano – scrive il gip – riferisce a Florinda (la moglie, ndr) di mettersi in contatto con l’Avvocato di Roma per un incontro con lui che va al modello 13, comunica che come arriva a Reggio e di chiamare l’Avvocato di Roma e di dirgli: ‘… ha detto Luciano che appena mette piede a Reggio va in matricola e si segna che vuole parlare con voi, perche’ vuole collaborare con voì. Lei dice che lo farà”.
Lo Giudice invierà un telegramma e una lettera a Cisterna chiedendo un colloquio. Il magistrato informerà poi il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, suggerendo di inviare un magistrato della Dna da Lo Giudice per verificare la sue reali intenzioni.
In ogni caso “Antonino e Luciano Lo Giudice nel loro tentativo di contattare due personalità istituzionali con l’obiettivo di salvaguardare i loro interessi criminali, hanno sempre trovato porte chiuse” ha sottolineato il procuratore capo di Catanzaro, Vincenzo Lombardo, titolare delle indagini.
Il dottor Mollace commentando l’inchiesta ha affermato: ”Cado dalle nuvole perchè mai nessuno mi ha parlato della vicenda. Delle due l’una, o è una millanteria di qualcuno o è una menzogna costruita di sana pianta. Non ho mai avuto nè direttamente, ne’ indirettamente contatti con Lo Giudice o con chiunque altro. Apprendo di questa cosa adesso e non so veramente di cosa si tratti”.
Il procuratore nazionale aggiunto antimafia, Alberto Cisterna ha detto: “Ringrazio il procuratore Vincenzo Lombardo, perchè so che in sede di conferenza stampa è stato chiarissimo nel riferire che ogni tentativo da parte del detenuto Luciano Lo Giudice di contattare due magistrati, uno dei quali sono io, ha trovato “porte chiuse”. Il procuratore Lombardo, non poteva dire che le missive trasmesse al mio ufficio, con le quali il detenuto proclamava la sua assoluta innocenza, dal reato di usura non aggravata dalla mafia, che lo vedeva detenuto, hanno dato luogo a regolari procedure di protocollo e sono state trasmesse come di competenza al Procuratore nazionale.”
“Con l’aggiunta che io ho personalmente e immediatamente richiesto che un magistrato della Dna, fosse delegato ad effettuare un colloquio investigativo con il Lo Giudice, per verificare se intendesse collaborare con la giustizia. Tutto il materiale è stato messo a disposizione del procuratore di Reggio, dott.Pignatone, parecchi mesi or sono”.
Via | Reggio TV
Reggio Calabria, intimidazioni ai magistrati. Lo Giudice: “Se parlo, in carcere poliziotti e magistrati” é stato pubblicato su crimeblog alle 10:45 di sabato 16 aprile 2011.